“Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù. A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. Portare speranza lì, seminare speranza lì”.
Sono queste le parole pronunciate dal Papa subito dopo l’apertura della porta santa di san Pietro. Noi questa sera qui le facciamo nostre con l’impegno di individuare nel nostro territorio i luoghi e i volti che hanno bisogno che si porti speranza. Tutte le situazioni alle quali il Papa si riferisce non ci sono estranee, sia perché facciamo parte della famiglia umana, sia perché esse ci appartengono, ci riguardano hanno nomi e volti. Non mancano i prigionieri di vecchie e nuove schiavitù, quella della droga che si diffonde nei nostri territori, soprattutto in estate, con una virulenza alla quale sembra che nessuno possa opporsi. La schiavitù del gioco d’azzardo che ci vede fra i primi in classifica per il numero preoccupante delle vittime di questo gioco e la mole spropositata di danaro investito. Non mancano proprio situazioni che ci sono vicine dove sembra che la speranza sia andata perduta. In alcuni casi senza che nemmeno ci facciamo più caso. L’emorragia di giovani che non trovano lavoro, non trovano casa, la presenza di gruppi di lavoratori stranieri di cui non sappiamo nulla e che sono invisibili e non raggiungibili. Non è stasera il momento di fare un elenco, ma di renderci conto che questo impegno di portare speranza ci riguarda, ci riguarda tutti. Se poi, continuando con le parole del Papa, ci guardiamo attorno, fra i nostri vicini, conoscenti, magari fra quelli che a volte celebrano l’Eucaristia un banco dietro o davanti a noi: quante ferite, quanta fatica e stanchezza e a volte solitudine.
Fra le parole che questa sera abbiamo ascoltato, tratte dalla prima lettera di san Giovanni apostolo e dal Vangelo di Luca, ce ne sono alcune che possiamo leggere come piste di speranza. Noi, infatti non parliamo di uno stato d’animo di generico ottimismo, ma di un cammino iniziato con la nascita di Cristo di cui il Giubileo celebra il 2025 anniversario, un cammino che si svolge nel tempo e di cui ogni generazione è protagonista. Il cammino dei suoi discepoli che continuano a ripetere che Dio ama ogni uomo e ogni donna indistintamente e proprio ripetere questo è la radice della speranza. Giovanni ci dice che per avere speranza bisogna avere fiducia che qualunque cosa chiediamo con la sincerità del cuore e con l’operosità delle nostre mani, qualunque cosa che chiediamo spinti dall’amore verso Dio e verso i fratelli, la riceviamo da Lui. Il nostro contributo al cammino della speranza è continuare a credere nel Suo nome e amarci gli uni gli altri.
La speranza è fragile, fra tutte le virtù è quella più difficile perché dipende dalla capacità di ognuno di credere e di amare Dio e gli altri.
La speranza ha bisogno di Dio. Essa è – cito le parole di un filosofo – l’arcobaleno che attraversa il fiume impetuoso della vita, le onde alte, il fumo dell’acqua, le rapide che possono travolgere tutto. Tutte quelle realtà che il Papa elenca. Un arcobaleno, mi permetto di aggiungere al pensiero di questo filosofo che parte da ognuno di noi, ma ha bisogno di posarsi sulla riva di Dio. Lo getti questo ponte luminoso perché il fiume possa essere attraversato dai tanti uomini e donne che la vita sembra abbia condannato a non poterlo attraversare.
La speranza ha bisogno di Cristo. Giuseppe e Maria sono una scuola di quanto sia importante camminare con Cristo, non è importante solo per loro, per noi che crediamo, ma lo è per, ritornando al Vangelo di oggi, per tutta la carovana. Nel Natale celebriamo Dio che si è fatto uomo e che ha posto la sua tenda in mezzo a noi, è entrato nella nostra carovana; ma non è una presenza scontata, è facile perderlo, è facile pensare che sia dove non sta. Giuseppe e Maria ci danno un’altra pista di speranza: se lo perdi, cercalo, non stancarti e torna indietro, non scoraggiarti e pensa dove potrebbe essere. Ritrovalo.
Lo ritroviamo ogni volta che ci affidiamo alla Misericordia di Dio e affidiamo i fratelli e le sorelle alla stessa Misericordia.
È questo sperare.
+ Luigi Vari
arcivescovo